E' il momento di fare chiarezza sulle risorse per fare mercato. I modelli richiamano l'estate 2002 e il gennaio 2012, i nomi di Bazzani ed Eder
Si avvicina, col ritardo dovuto al playout più lungo del mondo, la terza stagione della Sampdoria che Matteo Manfredi sta provando a risollevare dalle macerie economiche e tecniche del precedente decennio. Scampato il pericolo di quella che sarebbe stata la prima retrocessione in C, occorrerebbe una buona volta fare chiarezza sugli obiettivi e su come perseguirli.
Va premesso il doveroso riconoscimento degli sforzi compiuti in materia finanziaria ed economica dall'attuale gestione, sostenuta da un investitore singaporese subentrato nel tempo ad Andrea Radrizzani, che due anni fa era stato il motore iniziale dell'operazione Sampdoria e che abbiamo curiosamente ritrovato, nelle parole di Massimo Cellino subito dopo che era esploso il caso del Brescia, come soggetto inizialmente individuato per rilevare il club lombardo, prima che la situazione precipitasse.
Ma il risanamento contabile, sia pure necessario e tutt'altro che facile, non può far perdere di vista gli investimenti tecnici che, preclusi per tre sessioni di mercato per via dei vincoli di composizione negoziato, non sono stati effettuati nemmeno nella quarta che pure sarebbe stata libera, lo scorso gennaio con la squadra con l'acqua alla gola. Si chiuse anzi quel mercato in attivo.
Aver evitato il fallimento societario è un merito incancellabile, purché non comporti - e quest'anno ci si è andati davvero vicini - il fallimento sportivo: prospettiva che vanificherebbe tutto. Solo un intervento straordinario, quasi miracoloso, di Roberto Mancini e del suo storico staff ha infatti evitato la retrocessione della prima squadra, prospettiva che avrebbe determinato un'ingloriosa tripletta alla rovescia, cadute di serie infatti la Primavera e la femminile.
Pensare di aver risolto tutto con le meritatissime vittorie a Marassi e all'Arechi, colte - in un clima avvelenato da mestatori direttamente e indirettamente interessati - da una squadra rigenerata nel tono nel mese di operosa attesa dagli uomini dell'ex ct eurocampione, significa non solo non aver capito nulla, ma perdere altro tempo e creare le premesse per un futuro simile al tristo passato prossimo.
Sembra infatti arrivato il momento di fare chiarezza su un punto, uno solo ma cruciale: le risorse economiche per fare mercato, ulteriori ma tutt'altro che secondarie rispetto a quelle relative alla ristrutturazione societaria. Serve capire se ci siano insomma soldi per acquistare giocatori, oltre a quelli ricavati dalle cessioni, come è successo per Leoni venduto a 6 milioni (usati in gran parte per l'operazione Tutino) e oggi valutato oltre 30 milioni.
Dopo la sparizione di un investitore da sogno come il QSI che si è rivelato, appunto, solo un sogno; dopo un primo mercato libero gestito con gli stessi criteri dei tre precedenti è non solo lecito, ma doveroso per chiunque abbia a cuore il bene della Sampdoria e non quello dei suoi titolari pro tempore, pretendere onesta trasparenza sulle reali potenzialità economiche di una gestione che finora ha prodotto più incognite che certezze.
Naturalmente nessuno è così stupido da aspettarsi che questo interrogativo venga risolto da una dichiarazione. Non serve dire "I soldi ci sono". Serve farlo capire con i fatti.
Due esempi, datati estate 2002 e gennaio 2012. Allora la strategia scelta fu chiara: puntare su allenatori e giocatori da Serie A, come dimostrano gli arrivi rispettivamente di Bazzani ed Eder, che scesero di categoria proprio per contribuire alla costruzione di una squadra già pronta per il salto e in grado di restare stabilmente nella massima serie. Come puntualmente avvenne. Se i soldi ci sono, è così che si fa. Se invece non ci sono, allora si tira a campare, mascherando la desolazione con frasi fatte destinate a prolungare l'equivoco.
Parallelamente a questa operazione di chiarezza sulle prospettive, occorre saldezza nell'analisi degli osservatori come dei sostenitori. Nessuno può ragionevolmente permettersi di diffidare la proprietà di una squadra di calcio a lasciare spazio ad altri, soprattutto se di questi altri non c'è traccia. E' stato fatto in passato con esiti quasi catastrofici. Al tempo stesso, qualora effettivamente si presentasse qualcuno in grado di far meglio, tutte le parti in causa sarebbero chiamate a comportarsi con un solo criterio: il bene della Sampdoria. Una Sampdoria che ha portato trentamila tifosi a Marassi per le partite della disperazione e quasi duemila a Salerno. Questi tifosi hanno dimostrato di meritare ben altro dal malinconico sollievo per aver scampato la pagina più nera di una storia che nel 2026 arriverà a ottant'anni. Una ricorrenza da onorare in modo degno.