"Sono orgoglioso di essere genovese e di vivere a Genova, ma in questi anni la mia città mi ha dato poco"
Matteo Bassetti, 54 anni, infettivologo e direttore della Clinica di Malattie Infettive dell’Ospedale San Martino, è stato riconosciuto come il primo ricercatore al mondo per studi e citazioni scientifiche nell’ambito degli antibiotici e delle resistenze, sulla base del lavoro prodotto tra il 2013 e il 2023. Un risultato frutto di un impegno costante iniziato ai tempi della sua formazione accademica negli Stati Uniti. Il professore commenta per Telenord il prestigioso riconoscimento.
La ricerca come fondamento della professione medica - "La medicina, oggi, non può prescindere dalla ricerca. Un medico che non fa ricerca, non divulga e non insegna non è un medico completo. È necessario uscire dallo stereotipo del ‘barone universitario’: il nostro è un mestiere che deve rinnovarsi, basarsi su ricerca clinica applicata e sulla condivisione dei risultati. Solo così possiamo migliorare concretamente la qualità delle cure. Ai giovani dico: la ricerca può portare lontano, non solo nei risultati, ma anche nella soddisfazione personale."
Il valore della perseveranza - "Nulla arriva per caso. I traguardi si raggiungono con anni di impegno costante. Nel mio caso, dieci anni di lavoro, spesso lontano da casa. Per affermarmi ho dovuto lasciare Genova, e gran parte del mio percorso l’ho costruito a Udine. Sono tornato nel 2020, ma il successo non è frutto di amicizie o apparizioni in TV. È la dimostrazione che il merito, alla lunga, paga."
Il successo è sempre un gioco di squadra - "Da soli non si va da nessuna parte. I risultati che ho raggiunto sono anche merito di colleghi universitari, ospedalieri, specializzandi, borsisti, segretarie. Tutti, davvero tutti, hanno un ruolo essenziale. È la squadra che fa la differenza. Coordinare un gruppo unito è molto più importante del luogo fisico in cui si lavora."
Genova, tra amore e difficoltà - "Sono orgoglioso di essere genovese e di vivere a Genova, ma in questi anni la mia città mi ha dato poco. Ho incontrato molta invidia e ostilità, spesso proprio da chi vive e lavora qui. Genova si sta chiudendo su se stessa, con una mentalità autoreferenziale che scoraggia i suoi talenti, costringendoli ad andarsene per cercare altrove un ambiente più aperto. Il mio gruppo può lavorare in qualsiasi contesto: ciò che conta è poter essere messi nelle condizioni di lavorare. Se questo non sarà possibile qui, dovremo guardarci intorno."