Il professore di filosofia del diritto e il tema del 'fine vita', riportato in primo piano dalla vicenda delle celeberrime artiste
l filosofo del diritto Paolo Becchi interviene sul caso delle gemelle Kessler, le celebri artiste tedesche che, a 89 anni, hanno scelto di porre fine alla propria vita a Monaco di Baviera. Becchi chiarisce subito un punto fondamentale: «Non si è trattato di eutanasia: in Germania è vietata per ragioni storiche evidenti. Le due sorelle hanno fatto ricorso al suicidio assistito, che invece è consentito».
Secondo il professore, le gemelle hanno compiuto una scelta autonoma, maturata nel tempo e coerente con quanto da loro dichiarato pubblicamente: «È stata una decisione libera, non influenzata. Lo avevano scritto nel testamento e ripetuto molte volte». In Germania, come in Svizzera, è possibile ricorrere al suicidio assistito anche in assenza di una malattia irreversibile, purché sia il paziente ad assumere autonomamente il farmaco prescritto.
Becchi distingue chiaramente i piani morale e giuridico. Dal punto di vista etico, osserva che posizioni e tradizioni religiose divergono: «Nella Bibbia non c’è una condanna esplicita del suicidio», ricorda, sottolineando che il giudizio morale varia da Kant a Mill, fino alla dottrina cattolica. Tuttavia, per lui il nodo centrale resta quello normativo.
In Italia, il suicidio assistito non è ancora regolato da una legge organica. La sentenza della Corte costituzionale ha aperto alla possibilità solo in casi molto limitati — malattia irreversibile, sofferenze insopportabili, dipendenza da trattamenti vitali — criteri che, secondo Becchi, «escludono gran parte delle persone che vorrebbero poter scegliere». La preoccupazione maggiore è però un’altra: «Portare le persone a morire in ospedale, come prevede l’orientamento attuale, è l’errore da non fare».
Il filosofo propone invece un modello più simile a quello tedesco, in cui il suicidio è depenalizzato e il supporto medico serve solo a garantire sicurezza e consapevolezza, dopo un percorso psicologico adeguato. «Bisogna assicurarsi che sia una volontà stabile, non un impulso del momento», precisa, distinguendo un giovane in crisi da una persona molto anziana che abbia maturato la propria scelta.
Becchi invita quindi a non trasformare il dibattito in un tabù: «Parlare della morte è importante. Non significa promuovere niente, ma permettere a ciascuno di riflettere sulla propria libertà». E conclude ricordando che il caso delle gemelle Kessler mostra come possano esistere percorsi diversi da quelli immaginati in Italia, purché rispettosi dell’autodeterminazione e della dignità individuale.
