Sulle 190 casse integrazioni autorizzate nel vecchio accordo, a Genova ne venivano utilizzate una novantina, già salite a 172 dopo l'incendio dell'altoforno di Taranto. "Se i numeri aumentano qua scoppia il finimondo"
La situazione dell'ex Ilva continua a preoccupare i lavoratori, che questa mattina si sono riuniti in assemblea nello stabilimento col segretario generale della Fiom Michele De Palma. La preoccupazione principale è che non siano "i lavoratori a pagare gli errori fatti da altri" dichiara. Lunedì ci sarà la seduta del tavolo permanente col Governo e l'azienda, che per i sindacati rappresenta un'occasione per "negoziare una soluzione che consenta a lavoratori e lavoratrici di lavorare, e per i lavoratori in cassa integrazione di avere le integrazioni necessarie a salvaguardare la dignità del lavoro delle persone". Per il segretario generale della Fiom serve la "garanzia delle risorse e degli investimenti che servono a far crescere la produzione, garantire l’occupazione e fare la transizione per la decarbonizzazione", che si traduce soprattutto con due parole: forno elettrico. I sindacati già nei giorni scorsi avevano rilanciato l'ipotesi di aprirne uno a Genova dal momento che l'azienda prevede di attivarne due, che potrebbero quindi distribuire in maniera più funzionale la produzione tra il nord col capoluogo ligure e il sud con Taranto. C'è allerta anche per la trattativa con Baku Steel, "ci chiediamo se c'è e a che punto è" chiosa De palma, che per questo ipotizza una gestione diretta da parte dello Stato "per assicurare la continuità all'azienda e all'occupazione e al futuro dell'ex Ilva".
Cassa integrazione - La situazione della cassa integrazione è in continua evoluzione. L'accordo iniziale prevedeva 3.062 lavoratori in cig di cui 190 a Genova, delle quali ne venivano utilizzate circa 90. Quel numero è sostanzialmente raddoppiato, "sono saliti a 172" spiega Rsu di Fiom siderurgia di Acciaierie d'Italia Armando Palombo. L'azienda infatti dopo l'incidente di Taranto ha chiesto la cassa integrazione per 3.926 dipendenti: gli altri stabilimenti interessati sono quello di Taranto (3538), poi Novi Ligure (165) e Racconigi (45). "La cassa è schizzata da tremila a quattromila persone, se i numeri aumentano anche a Genova qua scoppia il finimondo, a meno che qualcuno non metta il pezzo per integrare il salario" avvisa Palombo.
Baku Steel - Quella con Baku Steel sembrava una trattativa ormai ben avviata dopo la fiducia del Governo incassata dalla cordata azera: lo scorso 27 marzo il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha autorizzato i commissari straordinari di Acciaierie d'Italia ad avviare negoziazioni preferenziali con il consorzio guidato da Baku Steel Company (BSC) e dall'Azerbaijan Business Development Fund (ABDF). "Non conosciamo i dettagli della trattativa, ne sono emersi alcuni dopo lo scoppio dell’altoforno 1 - spiega Palombo -. Sappiamo che ieri a palazzo Chigi la riunione è stata una fumata nera. Da lunedì ci sarà un tavolo permanente: devono trovare risorse per sistemare l’impianto che non sta funzionando, altrimenti qua non arrivano tonnellate d’acciaio. I lavoratori sono preoccupati e arrabbiati. Avevamo un piano di ripartenza che non è rispettato per colpe non nostre, c’è preoccupazione ma anche molta rabbia che può esplodere. Aspettiamo l’apertura di un nuovo tavolo e ragioneremo coi numeri, decideremo insieme cosa fare".
Futuro - "L'assemblea è andata bene ma la situazione sta degenerando, la temperatura si sta alzando perché non ci sono i presupposti per garantire un futuro a quest'azienda" spiega Nicola Appice, coordinatore Rsu Fim Cisl. "Un forno in marcia a Taranto, e bisogna fare il segno della croce perché ha degli anni, non può garantire la produzione ai siti del nord Italia. Si chiede di fare un progetto serio su Genova con un forno elettrico che possa dare un'autonomia territoriale. Dall'incontro di ieri è emerso che non c'è liquidità per gli stipendi e quindi si potrebbe arrivare a far anticipare la cassa integrazione dall'Inps, una situazione nuova per l'Ilva".