Antonella Zarri: "Vuoti normativi e organizzativi enormi. Vigili, carabinieri, polizia, servizio psichiatrico, salute mentale: tutti scoordinati"
In occasione del 25 novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, è stata ospite del "Salotto di Telenord" Antonella Zarri, madre di Alice Scagni uccisa il 1° maggio 2022 dal fratello Alberto in via Fabrizi a Quinto, nel levante genovese. Dopo una telefonata minacciosa ai genitori, e una disperata chiamata del padre al 112, l’allora 42enne si appostava sotto casa e accoltellava la sorella, 34enne, scesa per portare fuori il cane.
Ecco l'intervento della madre di Alice Scagni: "Questa vicenda, che ha colpito profondamente tutti, anche se, purtroppo, mi sembra che non abbia insegnato molto.
Penso, ad esempio, al recente eccidio di Nola, un fatto terribile e sottovalutato esattamente come è successo con noi. È importante ricordare queste storie, capirne gli sviluppi e affrontare temi di cui si parla ancora troppo poco.
Quella maledetta mattina del 1° maggio, Alberto — poi riconosciuto parzialmente incapace, un paziente psichiatrico con una patologia neurologica conclamata — ha ucciso sua sorella sotto casa. Una sorella che lui amava, con cui aveva sempre avuto un rapporto privilegiato. Il suo stato si era aggravato da tempo: i vicini avevano segnalato comportamenti preoccupanti, erano arrivate denunce alla Asl, ai vigili urbani, e poi, nell’ultimo mese, a diverse forze dell’ordine. Ma nulla ha portato a un contenimento della situazione.
Nei giorni festivi ci è stato anche contestato di non aver fatto le “denunce formali”, ma quella domenica avevamo chiamato l’ufficio denunce della Questura e ci era stato detto di tornare in orario feriale. Di quella telefonata non c’è traccia. Così come non c’è la giusta attenzione per la chiamata al 112 delle 13.30, quando Alberto aveva espresso chiaramente l’intenzione di uccidere tutti i familiari. Quella richiesta di aiuto è caduta nel nulla.
La sensazione di abbandono che ho provato quel giorno mi accompagna ancora: mi sento sola, profondamente sola. E ascoltando ciò che è accaduto recentemente a Nola, devo constatare che la nostra storia non ha insegnato molto. Così come non insegnano molto tanti femminicidi: si parla di “eliminare la violenza”, ma quella parola — eliminare — io non la condivido. La violenza esiste, il conflitto esiste. Le istituzioni, con i loro poteri, dovrebbero essere in grado di gestire e contenere questi conflitti, perché le famiglie non possono farlo da sole.
Nel nostro caso sono emersi vuoti normativi e organizzativi enormi. Le forze dell’ordine, i vigili urbani, i carabinieri, la polizia, il servizio psichiatrico, il centro di salute mentale: tutti completamente scoordinati (Sulla vicenda c'è stata peraltro un'inchiesta giudiziaria che si è conclusa con l'archiviazione delle accuse, N.d.R.). In queste smagliature si è infilata la follia di Alberto, che ci ha portato via Alice. E con lei se n’è andata una cittadina seria, generosa, sempre pronta a dare il meglio di sé agli altri. Una perdita per tutti, non solo per noi genitori, per la famiglia, il marito e il bambino.
Dopo la tragedia abbiamo dovuto affrontare un dolore immenso e allo stesso tempo una lunga serie di ulteriori difficoltà. Abbiamo perso due figli in una notte sola. Poi sono arrivati i problemi legati al processo di Alberto, durante il quale siamo stati addirittura indicati come responsabili del mancato contenimento di un uomo di 43 anni che non viveva con noi. Abbiamo imparato a nostre spese che la verità processuale non coincide con la verità: la giustizia cerca la via più comoda per arrivare a una conclusione, non la ricostruzione reale dei fatti.
A tutto questo si sono aggiunte le complicazioni nei rapporti familiari, in particolare con il marito di Alice, e le difficoltà nel mantenere la relazione naturale e bellissima con il suo bambino. Una deflagrazione totale: abbiamo cercato di comprendere le esigenze di tutti, affinché ciascuno potesse continuare la propria vita senza essere travolto dalle conseguenze di ciò che ha fatto Alberto.
E poi, un anno fa, Alberto è stato massacrato in carcere. Per noi resta un figlio, anche se malato, un figlio che avrebbe bisogno di un supporto psichiatrico e psicologico per essere recuperato, come dovrebbe accadere a tutti i detenuti. Anche questa è stata un’ulteriore ferita da affrontare. E per quel pestaggio, dopo un anno, il processo non è ancora iniziato.
Sono state tantissime le battaglie da combattere, oltre a svegliarsi ogni mattina senza luce. Perché questo è il buio che resta".
